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Le “lacerazioni” del rabbino capo di Roma

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Articolo sul Manifesto

Per Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, in Italia arrivano troppi migranti musulmani, arrivano e «non rispettano i nostri diritti e valori» e questa «migrazione incontrollata può provocare una reazione di intolleranza; ci andremmo di mezzo anche noi, e forse per primi». L’ha dichiarato pochi giorni fa intervistato da Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera.

Non era mai successo che un rappresentante autorevole dell’ebraismo ufficiale unisse la sua voce a quella dei tanti che in Europa gridano all’«invasione musulmana». È la prima volta non solo in Italia: persino in Francia e in Belgio, dove gli ebrei hanno subìto l’attacco diretto e sanguinoso del terrorismo islamista, le organizzazioni ebraiche sono sempre sfuggite alla tentazione islamofoba.

Di Segni aggiunge che sui migranti «noi ebrei siamo lacerati» perché «la fuga, l’esilio, l’accoglienza fanno parte della nostra storia e della nostra natura»; ma le sue parole restano inquietanti, tanto più per la connessione che sembrano stabilire: l’immigrazione islamica causa una reazione di intolleranza, e prime vittime dell’intolleranza rischiano di essere gli ebrei. Come dire che il razzismo non è colpa di razzisti ma dei loro bersagli.

Ciò che preoccupa di queste affermazioni è che risuonano pericolosamente con un’idea apparentemente «moderna» ed evoluta ma in realtà perniciosa, utilizzata come alibi da molte forze politiche anti-immigrati in tutta Europa: l’idea che l’immigrazione dai Paesi islamici vada fermata per difendere valori – la laicità dello Stato, la parità di diritti tra uomo e donna – che in buona parte dell’Islam sono calpestati. Questo sillogismo è veleno puro: trasforma un principio sacrosanto e persino ovvio – la non negoziabilità per noi europei contemporanei di parti essenziali della nostra «costituzione materiale» come la separazione tra Stato e Chiesa e la parità almeno formale di condizione tra uomo e donna – nel concetto esclusivista di cittadinanza europea per cui si è pienamente e legittimamente europei solo se si appartiene alla tradizione «giudaico-cristiana»; e al tempo stesso lascia intendere che tali princìpi siano connaturati a questo «dna», quando invece sono il frutto di processi lunghi, tortuosi, dolorosi.

La distinzione non è sottile, è la stessa che da secoli separa irriducibilmente il nazionalismo dal patriottismo: da una parte l’appartenenza «di sangue», di etnia, di religione, quella che fa invocare al candidato della Lega alla presidenza della Regione Lombardia Attilio Fontana la difesa della «razza bianca» e condanna lo «ius soli» come criterio di cittadinanza; dall’altra un’identità «progettuale», aperta a tutti coloro che condividono una base comune di valori e di diritti. Read More…

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