Può succedere? Nel senso: può succedere che due eventi di partecipazione politica tenuti a pochi giorni di distanza e del tutto paragonabili per numero di persone presenti siano in un caso celebrati dai grandi media come notizia di prima grandezza, nell’altro quasi completamente ignorati? Non solo può succedere, ma è appena successo.
Sabato 7 novembre, al Teatro Quirino a Roma davanti a una platea di oltre mille persone, è stata battezzata “Sinistra Italiana”, nuovo gruppo parlamentare che unisce Sel ad alcuni parlamentari ex-Pd (Fassina, D’Attorre, Mineo…) e che vuole essere l’embrione di un nuovo partito alla sinistra del Pd. Molti giornali, telegiornali, siti informativi hanno dedicato all’iniziativa le loro “aperture”, tutti le hanno riservato un larghissimo spazio.
Sabato 21 novembre, sotto un grande tendone in riva al mare a Bagnoli (Napoli), oltre mille persone hanno partecipato agli “stati generali” di “Possibile”, movimento politico fondato da Pippo Civati che si propone di dare rappresentanza all’opinione, ai valori, alle domande sociali e civili, di quanti si considerano di sinistra e si sentono estranei tanto al Pd di Renzi quanto alle sinistre “pre-renziane”. Sui principali organi d’informazione sia cartacei che televisivi, poche righe o più spesso lo zero assoluto.
Siamo stati testimoni oculari di entrambe le assemblee, e possiamo garantire che di gente ce n’era tanta, più o meno altrettanta, in tutte e due le occasioni. Prima di proseguire, vogliamo anche dichiarare per onestà che non siamo osservatori neutrali: pensiamo che per dare nuove gambe e nuova testa in Italia alla sinistra, serva molto più “Possibile” che “Sinistra Italiana”. Che serva cioè una sinistra politica radicalmente diversa non solo da Renzi ma anche da quello che c’era prima di lui, una sinistra che resti fedele all’idea tuttora cara a milioni di italiani che progresso significa soprattutto eguaglianza, coesione e qualità sociale, ma sappia declinarla secondo i bisogni e le urgenze del tempo presente: quelli di sempre come il lavoro, quelli di oggi come l’ambiente, i diritti individuali e collettivi, l’inquietudine e la paura dei più giovani per un futuro incerto e nebuloso.
Ma il punto che qui ci preme sottolineare non sono le differenze di merito tra le due proposte, è l’opposto trattamento che esse hanno ricevuto dai media. Da che dipende? Qualcuno può rispondere che dipende dal sabato di mezzo tra 7 e 21 novembre, dalla tragedia parigina della notte tra 13 e 14 novembre che ha calamitato e continua a calamitare buona parte dell’attenzione mediatica. A noi non pare: malgrado gli attacchi di Parigi e lo “stato d’eccezione” in cui vive da allora tutta Europa, i media italiani non hanno smesso di occuparsi del tran-tran politico nostrano, a informare puntualmente lettori e spettatori su qualunque esternazione di Alfano o di Cuperlo, di Brunetta o di Calderoli.
No, secondo noi la differenza è altrove. È in quella impronta “relazionale” e un po’ asfittica che ha sempre contraddistinto in Italia non solo l’economia, il modello di capitalismo, ma anche e molto l’informazione politica. Quelli che scrivono per raccontare la politica, si occupano essenzialmente dei partiti che già conoscono, dei politici che frequentano non solo nei corridoi di Camera e Senato ma spesso anche a cena, dei mondi che sentono più familiari per alfabeto, vocabolario e pure per anagrafe. Per dire: noi che abbiamo passato da qualche tempo i cinquant’anni, all’iniziativa del Quirino eravamo tra i giovanissimi e a quella di Napoli tra i vegliardi. La larghissima maggioranza dei nostri cronisti politici magari considerano “Sinistra Italiana” un’operazione velleitaria e senza grandi prospettive, ma la capiscono. Capiscono i discorsi generali sul lavoro prima di tutto, capiscono le battute inter nosdi Fassina su Renzi “happy days” o di Mineo sulla Boschi. “Possibile” invece è fuori dai loro radar. I mille che erano a Napoli con Civati, per esempio, pensano che l’ecologia non sia solo difendere l’ambiente ma sia soprattutto una diversa economia, che i diritti sociali siano l’articolo 18 ma anche una piena cittadinanza digitale, che smetterla di sovvenzionare l’industria dell’energia fossile sia molto più di sinistra che riempirsi la bocca di retorica anti-liberista. Queste le loro idee, questa la loro idea di politica: per l’informazione politica italiana, un pianeta alieno, indecifrabile e tutto sommato anche poco interessante.
Dal punto di vista di Civati e di “Possibile”, non è detto che questa “disattenzione” dei media italiani porti male. In fondo, le principali novità politiche affermatesi in Italia negli ultimi vent’anni – prima la Lega, poi i Cinquestelle – hanno messo radici senza che cronisti, notisti, editorialisti politici se ne accorgessero (con rare e preziose eccezioni). Certo, da un punto di vista generale il fatto conferma un’impressione più ampia e meno rassicurante: la pigrizia culturale e deontologica della nostra informazione politica non è che un sintomo di classi dirigenti torpide, autoreferenziali, poco curiose di tutto ciò che faticano a chiamare per nome.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante