Clima, il fallimento di Madrid. Vincono i sovranisti “eco-irresponsabili”. E l’Europa rimane a guardare

friday for future

Articolo su Strisciarossa.it

Fallimento. E’ l’unica parola sensata per descrivere l’esito della Conferenza mondiale sul clima appena conclusasi a Madrid, la numero 25 da quando un quarto di secolo fa venne firmata la Convenzione quadro per fermare il “climate change”: allora una terribile minaccia, ora una crisi climatica conclamata che già produce in tutto il mondo rilevantissimi danni sociali e ambientali, dal moltiplicarsi degli eventi meteorologici estremi (ondate anomale di calore, alluvioni, siccità) in ogni continente e ad ogni latitudine, all’ingrossarsi quotidiano dell’esercito disperato dei “migranti climatici”, milioni di donne e di uomini costretti a lasciare la loro terra ormai del tutto inaridita e a cercare vita altrove.

Un flusso, quest’ultimo, che riguarda soprattutto la direttrice Africa-Europa, e che nei prossimi anni rischia di fare impallidire per dimensione gli attuali movimenti migratori dalla sponda sud a quella nord del Mediterraneo.

Fallimento dunque, alla faccia dei ragazzi del “Fridays for future” e alla faccia degli scienziati del clima che in modo pressoché unanime hanno più volte ammonito: occorre evitare che l’aumento di temperatura media terrestre (rispetto ai livelli pre-industriali) superi il grado e mezzo. Oggi siamo già ad un grado in più, l’unica via efficace per impedire la catastrofe climatica – una tragedia non per il pianeta che di cambiamenti climatici ne ha vissuti tanti, ma per noi specie umana che vedremmo crollare il nostro benessere – è azzerare entro pochi decenni l’uso di combustibili fossili, carbone in primis, che sono la causa principale del clima che cambia.

Perché è fallita la Cop 25? Di sicuro per il boicottaggio di Stati Uniti, Brasile, Australia, Arabia Saudita contro l’adozione immediata di obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti ambiziosi e vincolanti. In particolare l’accoppiata Trump-Bolsonaro ha fatto di tutto perché la Conferenza si chiudesse con un nulla di fatto, a conferma che le forze sovraniste sono anche, immancabilmente, “eco-irresponsabili”.  Di fronte a questo “muro di gomma”, ci sarebbe voluta un’Europa determinata e coesa nel pretendere impegni fattivi contro la crisi climatica: come vent’anni fa quando grazie al pressing dell’Unione europea, e malgrado la freddezza degli Usa, venne siglato il Protocollo di Kyoto che imponeva ai Paesi più ricchi di darsi obiettivi obbligati di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e degli altri gas dannosi per il clima.

L’Europa in questo caso non ha saputo o voluto agire da “contrappeso” al fonte dei “negazionisti” climatici guidato dagli Stati Uniti. Condizionata dalla posizione filo-americana di molti Paesi dell’est, Polonia in testa, tuttora largamente dipendenti dall’energia del carbone, l’Europa è rimasta a guardare, così l’Italia. L’attuale governo , del resto, sebbene sia nato promettendo un “green new deal”, finora non ha dato alcun seguito a quell’impegno; per esempio nella Legge di bilancio in via di approvazione non ha toccato nemmeno un centesimo dei 19 miliardi di euro di sussidi pagati ogni anno alle fonti fossili. Read More…

Il vero patriottismo è lavorare per una Greenitaly a misura d’uomo e ambiente

Milan, Italy, High-rise house with trees, shrubs and hedges in the city of

Articolo su Huffington Post con Francesco Ferrante

Mentre la Conferenza sul clima in corso a Madrid ci si avvicina ogni giorno di più a un desolante “nulla di fatto”, dall’Italia arrivano invece due segnali incoraggianti di “movimento”. Il primo è la mozione appena approvata dalla Camera dei Deputati, prima firmataria l’ex-presidente di Legambiente Rossella Muroni, che impegna il governo a dichiarare lo stato di ”emergenza climatica” e a compiere passi decisi e concreti sulla via della transizione ecologica.

Il secondo è la diffusione del Manifesto per “Un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica”, promosso dalla Fondazione Symbola e sottoscritto come primi firmatari da Ermete Realacci (presidente Fondazione Symbola), Ettore Prandini (Presidente Coldiretti), Vincenzo Boccia (presidente Confindustria), Francesco Starace (Ad Enel), Enzo Fortunato (direttore sala stampa del Sacro Convento di Assisi) e Catia Bastiol (Ad Novamont).

Punto di partenza del Manifesto, al quale hanno già aderito circa 1000 tra economisti, manager, sindacalisti, ricercatori, dirigenti di associazioni ambientaliste, è una doppia consapevolezza: che la crisi climatica non è una minaccia ma un dramma in atto, come richiamato nel modo più autorevole dall’Enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, e che i suoi effetti potenzialmente catastrofici non riguardano una generica, astratta “natura” ma qualcosa di assai più concreto, cioè il benessere presente e futuro della nostra specie.

Crisi climatica globale vuol dire che aumenta dappertutto la temperatura media; che si moltiplicano e si allargano come latitudine gli eventi meteorologici estremi; che da una parte si sciolgono i ghiacciai e s’innalza il livello di mari e oceani, dall’altra superfici sterminate di terre un tempo fertili diventano aride o desertiche. Fenomeni che pesano terribilmente sulla sicurezza e la prosperità degli esseri umani prim’ancora che sulla salute del pianeta, basti pensare all’esercito disperato che si ingrossa ogni giorno dei “profughi del clima” costretti a lasciare le loro terre inaridite in cerca di vita altrove.

Per fronteggiare questa emergenza serve agire rapidamente e radicalmente, azzerando entro la metà di questo secolo le emissioni di gas climalteranti dovute principalmente all’uso di combustibili fossili e dunque investendo forte sulle energie rinnovabili e sull’efficienza energetica a ogni livello, dall’elettricità ai trasporti. Un obiettivo difficile ma possibile che richiede l’impegno dell’intera comunità umana.

Un traguardo che va posto al centro di una rinnovata mission – di un “green new deal” – dell’Europa, come promesso con parole forti e innovative dalla nuova presidente della Commissione europea Ursula  Von der Leyen. E una sfida che a maggior ragione per l’Italia, rappresenta anche l’occasione per dare nuovo slancio, nuova forza economica a nostri “talenti” tradizionali, che se raccolta e vinta può rendere il nostro Paese molto più forte e molto più sano.

È la “green economy” in salsa italiana, capace di rendere più competitive le nostre imprese, di produrre tanti nuovi posti di lavoro, di valorizzare ricchezze tipicamente italiane: la bellezza riconosciuta ovunque dei nostri luoghi e dei nostri prodotti, la coesione sociale e l’apertura al mondo esterno dei nostri territori, la vocazione a innovare della nostra manifattura.   Read More…

Clima e dissesto idreologico: i costi ormai insostenibili del non agire

Articolo su Strisciarossa.it
L’Italia soffre di più per gli effetti della crisi climatica? In Europa certamente sì, e la ragione è che l’impatto negativo del “climate change” sul territorio e sulla sicurezza delle persone è amplificato dalla condizione ormai cronica fragilità e incuria in cui versa buona parte dei nostri “luoghi”. Venezia, in questo senso, è la punta di un immenso iceberg. Qui la fragilità è certo nella fisiologia di una città costruita sull’acqua e per la quale l’acqua, il mare, le maree sono da sempre compagni di vita ingombranti e molto esigenti. Ma è anche ed è molto in aspetti patologici: prima il saccheggio dissennato di un ecosistema delicatissimo – basti pensare alla “follia” di realizzare uno dei più grandi poli industriali d’Italia, Porto Marghera, nel cuore della laguna, o ai canali consegnati alle scorribande quotidiane di gigantesche navi da crociera -, oggi la crisi climatica, essa pure causato dall’uomo, che moltiplica frequenza e intensità dei fenomeni di acqua alta. Molti in questi giorni hanno puntato l’indice sui ritardi nella costruzione del Mose, il sistema di dighe mobili quasi ultimato ma non ancora funzionante. Per il Mose si sono già spesi 5 miliardi, a questo punto va completato in fretta; ma il Mose non è la soluzione ai problemi di Venezia, anzi è stato esso stesso un problema: per i suoi costi esorbitanti e generatori di un vasto intreccio di corruzione e malaffare, perché come ripetono da anni gli ambientalisti e come certificò ai tempi del sindaco Cacciari la stessa amministrazione della città da una parte non servirà a mettere in sicurezza la laguna e dall’altra ha distolto risorse e attenzione da interventi più semplici ed economicamente meno onerosi sulle bocche di porto. Read More…

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