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Eravamo renziani perché

Matteo Renzi chiude in Calabria la campagna per il referendumArticolo con Francesco Ferrante su Huffington Post –

Eravamo renziani, quando nel Pd il 95% dei gruppi dirigenti sostenevano Bersani nelle primarie contro Renzi. Eravamo renziani perché ci piaceva l’idea di tradurre l’intuizione di Walter Veltroni su un Pd “a vocazione maggioritaria” nell’idea di un grande partito progressista capace di mettersi alle spalle gli steccati e i limiti culturali che rendono anacronistica e irrevocabilmente minoritaria – non solo in Italia, in tutto l’Occidente – la sinistra reduce dal ‘900, sia quella socialista sia quella post-comunista.

Volevamo un partito che ambisse e riuscisse a mettere in campo una sinistra contemporanea al tempo stesso riformista e radicale, lontana sia dalla ricetta “blairiana” – smettere di essere sinistra diventando il partito dei “già protetti” – sia da quella delle sinistre “antagoniste” – restare sinistra ma restando, anche, inchiodati al passato.

Credevamo che Renzi volesse cimentarsi in questo compito, che potesse essere il leader giusto per provare a dare risposte attuali alla domanda di cambiamento politico in senso progressista, per allargare il perimetro politico e culturale delle categorie dell’emancipazione sociale, dell’eguaglianza, del progresso – pilastri universali dell’essere sinistra – dalla sola dimensione del lavoro ad altre non meno rilevanti: i diritti civili vecchi e nuovi, la qualità ambientale dei luoghi di vita, la possibilità di liberarsi e realizzarsi come individui oltre che come comunità.

Perché malgrado i drammi crescenti della povertà e della disoccupazione, sempre di meno le persone basano il loro “essere sociale” esclusivamente sul lavoro. In nessuno dei movimenti sociali e di opinione degli ultimi decenni ascrivibili a idealità di sinistra, il lavoro è stato l’elemento centrale: dall’ambientalismo al femminismo, dalle mobilitazioni per i diritti civili a quelle per i beni comuni…

Eravamo renziani e ci piaceva persino la parola “rottamazione”, non tanto applicata a questo o quel politico di lungo corso (anche se qualcuno di questi era bene che uscisse di scena) ma come segno di una discontinuità esplicita, radicale con la vecchia sinistra.

Le ragioni che allora ci hanno spinto a sostenere Matteo Renzi contro la nomenclatura che reggeva da mezzo secolo la sinistra italiana, oggi non hanno perduto nulla della loro attualità e anzi sono mille volte più urgenti. Oggi che in tutta Europa di una sinistra contemporanea c’è bisogno disperato, per offrire un’alternativa credibile e competitiva all’avanzata di destre vecchie e nuove che lucrando sulla crisi di benessere e di identità di milioni di persone vendono con successo la loro merce oscurantista.

Oggi che i partiti socialisti sembrano dappertutto in agonia, sempre più deboli nel consenso e sempre di più percepiti come i principali garanti dello “status quo” e l’incarnazione dell’establishment, dunque come i primi responsabili dell’insicurezza del presente e dell’incertezza del futuro che assedia gli europei. Le ragioni di quella scelta ci sono ancora tutte, invece non c’è più, da tempo, quel Matteo Renzi. Read More…

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