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Il Pd è fallito. E ora?

A worker prepares before Italy's Democratic Party (PD) leader Pier Luigi Bersani arrives at his political rally in downtown Naples February 21, 2013. REUTERS/Alessandro Bianchi (ITALY - Tags: POLITICS)

Articolo con Francesco Ferrante su Huffington Post –

Il Pd è fallito. “Quel” Partito democratico preconizzato da Prodi con l’Ulivo e tenuto a battesimo da Veltroni al Lingotto non esiste più, e se mai dovesse risuscitare (forse ce ne sarebbe bisogno) dovrà accadere altrove.

Non esiste più, è morto in culla, il progetto di dare forma a un grande partito progressista contemporaneo, che raccolga il meglio del riformismo novecentesco ma mescolandolo e rivitalizzandolo con più attuali e più fresche suggestioni: l’ambiente anche per ridare slancio allo sviluppo, i nuovi diritti, un’idea di cittadinanza più inclusiva e non più fondata solo sul lavoro.

Quel Pd non esiste più, e il modo in cui questo Pd sta reagendo alla sconfitta del 4 marzo ne è l’ultima, definitiva prova. Così sembra davvero “accanimento terapeutico” l’affannarsi di tanti che da dentro e da fuori invocano dal Partito democratico saggezza, umiltà, ripresa di iniziativa politica.

 Il fu Pd appare prigioniero del livore del suo (tuttora) capo, che lo costringe a attendere immobile una rivincita che non ci sarà. Come è potuto accadere? Come è successo che in appena dieci anni si sia cancellata, insieme a milioni di voti espressione di un consenso largo e vitale nella società, anche l’intuizione quasi profetica da cui il Pd era nato: l’idea, oggi conclamata dalla crisi verticale dei socialisti in tutta Europa, che la sinistra europea per avere ancora un senso e un futuro debba costruirsi una nuova “cassetta degli attrezzi” adatta a affrontare i problemi e le sfide inediti del nuovo millennio, dalla globalizzazione che riduce i poveri in tutto il mondo ma li fa crescere a casa nostra, ai cambiamenti climatici che impongono un approccio radicalmente innovativo alla dimensione dell’agire economico?

Una parte di responsabilità ricade proprio sulle spalle dei due “padri fondatori”: di Walter Veltroni che lasciando la guida del Pd nel febbraio 2009 si è arreso troppo presto ai “conservatori della ditta di sinistra”; di entrambi, Veltroni e Prodi, che non hanno denunciato per tempo lo stravolgimento in atto del progetto originario che aveva dato forma al Pd.

Anche chi scrive ha le sue colpe: alla fine del 2012 fummo tra i pochissimi parlamentari del Pd (in Senato meno di 10 su un gruppo di oltre 100) che sostennero Renzi nella sua prima corsa a segretario del Pd. Vedevamo nella sua energia e nella carica innovativa che sembrava esprimere l’ultima occasione per rivitalizzare un progetto politico che dopo la fine prematura della segreteria Veltroni si era avvitato su se stesso.

Non abbiamo capito che la “rottamazione” invocata da Renzi era culturalmente vuota: per dire, il tasso di attenzione alla questione ambientale era infinitesimo nel Pd di Bersani ed è rimasto infinitesimo nel Pd renziano. Read More…

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