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Cinquestelle: e prenderli sul serio?

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Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post –

Le reazioni indignate di fronte alla deriva truculenta di molti eletti grillini sono largamente condivisibili. Su questo c’è poco da discutere. Gli insulti a Laura Boldrini o a Daria Bignardi, le offese da maschi mediocri e ubriachi alle deputate Pd, i blitz in sala stampa alla Cameraper impedire ai deputati di altri gruppi di rilasciare dichiarazioni o interviste, sono di più e di peggio di una strategia furba per tenere il centro della scena mediatica: rivelano un’idea della politica e dell’azione civile fatta di disprezzo per la dialettica e per il confronto tra posizioni diverse, che apparenta i Cinquestelle a tutti i più beceri populismi, dal russoZhirinovskij a Borghezio, dai Le Pen ai neonazisti di “Alba Dorata“.

Le ottime, fondatissime ragioni per le quali tanti italiani hanno votato Grillo – disgusto anti-casta, paura di vivere in un Paese sempre meno prospero e accogliente per i suoi stessi cittadini, rifiuto di classi dirigenti immobili e autoreferenziali, voglia un po’ disperata di una politica che anteponga l’interesse generale, il bene comune, i beni comuni agli interessi di partito e di fazione – naturalmente non giustificano questo progressivo scivolamento degli eletti Cinquestelle sul piano inclinato del peggiore qualunquismo. Non per proporre paragoni decisamente smisurati, ma avevano buone ragioni anche i tedeschi che all’inizio degli anni Trenta, atterriti e consumati da una crisi economica devastante, si affidarono alle promesse di rinascita nazionale di Hitler (i nazisti nelle elezioni del 1933 ottennero il 40%dei voti); o gli italiani che fiaccati dalla guerra e spaventati dal caos politico del dopoguerra nel 1921 fecero di Mussolini uno dei neo-parlamentari più votati d’Italia.

La verità è che mai come ora, di fronte a un movimento Cinquestelle che mostra per intero sia le sue ombre sia il carattere niente affatto effimero del suo “feeling” con una parte non piccola della società italiana, bisognerebbe che chi osserva Grillo e i suoi “cittadini” e li “commenta”, chi li avversa e chi invece simpatizza per loro, scacciasse due tentazioni opposte ed entrambe, nei due campi, assai ricorrenti. Read More…

Cinquestelle impresentabili, ma il decreto Bankitalia è una mezza “porcata”

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Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post – 

Neppure in politica il fine giustifica i mezzi. Tanto meno li giustifica quando il fine è un pretesto e i mezzi sono il cuore di una scelta, di una strategia deliberate.

Per questo la bagarre scatenata alla Camera dai Cinquestelle – sebbene, come hanno ricordato diversi commentatori, non proprio un inedito nella storia del Parlamento repubblicano – deve indignare. Fanno schifo i deliri sessisti dal deputato De Rosa al blog di Grillo, fanno schifo gli slogan fascistoidi e l’armamentario da basso populismo messi in mostra da parecchi “portavoce” Cinquestelle, palesemente inadeguati – anche loro, come molti dei loro bersagli – al ruolo che gli è capitato di occupare nelle istituzioni.

Ma se i “grillini” hanno allestito una farsa impresentabile, questo non basta a riabilitare l’oggetto, sia pure strumentale, della loro sceneggiata: il decreto Imu-Bankitalia nella parte che riguarda la nuova governance della nostra banca centrale.

Per la forma utilizzata – la decretazione d’urgenza – e per molti suoi contenuti, questa presunta riforma è in effetti una gran “porcata”.

Come ha scritto il professor Angelo Baglioni su lavoce.info, è quanto mai discutibile che la scelta quasi epocale di trasformare la Banca d’Italia, oggi posseduta dalle banche, in una “public company” sia stata fatta per decreto, senza il minimo dibattito pubblico e cestinando una legge del 2005, mai attuata, che prevedeva il trasferimento allo Stato della proprietà dell’Istituto. Detto che in quasi tutte le banche centrali dei paesi europei il capitale è a larga maggioranza in mano pubblica, comunque non si vede dove sia in questo caso l’urgenza, criterio irrinunciabile per ogni decreto, dopo 80 anni dalla nascita di Bankitalia e dopo 8 di mancata applicazione della legge che ne prescriveva la pubblicizzazione. Da notare tra l’altro che persino la Bce ha avuto da ridire: è stata consultata solo all’ultimo, e nel suo parere sul decreto – richiesto 3 giorni prima che il testo venisse approvato dal Consiglio dei Ministri – ha richiamato esplicitamente il Governo italiano al rispetto della procedura di consultazione prevista dai Trattati europei.

Insomma. Nessun dubbio che il modello attuale di governance della Banca d’Italia – con i vigilati, cioè le banche, che sono anche i proprietari – vada superato. Ma la modalità scelta per attuare un così rilevante cambiamento, e la direzione che si è scelta – “public company” invece che pubblicizzazione – lasciano il campo a legittime obiezioni. Read More…

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