SINISTRA

Ilva e Terra dei fuochi:dov’era la sinistra?

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Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post

Si dice: vent’anni di berlusconismo hanno affossato l’Italia. Vero, ma con una “avvertenza”: che per buoni sette di questi vent’anni al governo dell’Italia c’è stata la sinistra e che sempre nel “ventennio” la sinistra è stata forza principale di governo in molte regioni e città del Paese.

Che cosa ha fatto la sinistra italiana per contrastare sul campo dell’azione di governo il berlusconismo, per mostrare non a parole ma con i comportamenti e con le decisioni di essere “un’altra cosa”, una “cosa” alternativa sul piano dell’etica pubblica, del senso civico, della sensibilità sociale?

Due vicende diverse tra loro ma entrambe legate alla “questione ambientale” – l’Ilva di Taranto sotto sequestro perché da decenni avvelena un’intera città e la “terra dei fuochi” nel casertano piena zeppa di discariche della camorra – spingono a rispondere: ha fatto poco o niente. Read More…

Berlusconi ha ragione (sul serio): quanti comunisti!

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Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post

Su un punto Berlusconi ha ragione da vendere: il guaio della sinistra italiana è che a guidarla sono ancora i “comunisti”. Secondo lui questo dimostra tutta la sua pericolosità, invece è la base principale della sua debolezza.

Sono comunisti perché continuano a misurare lo sviluppo e il progresso secondo categorie che separano struttura – il lavoro, la condizione materiale delle persone – e sovrastruttura – la legalità, la cultura, l’ambiente, la dimensione immateriale del benessere.

Sono comunisti perché sempre in ritardo sulla realtà che cambia: al contrario del celebre aforisma di Rilke, “il futuro entra in loro molto dopo che accade”.

Sono comunisti perché pensano l’economia come si pensava un secolo fa: non più “soviet e elettrificazione” ma comunque carbone (Ilva e dintorni), asfalto, cemento.

Sono comunisti perché occupati costantemente a mostrare che non lo sono più, il che li spinge – dal Quirinale all’ultimo sindaco – a idolatrare il compromesso, a compiacere ogni genere di interesse costituito e di potere consolidato (palazzinari, Riva, Colaninno…), a rifuggire da qualunque radicalità si chiami patrimoniale o stop al consumo di suolo o diritti dei gay.

Sono comunisti perché si sentono molto migliori del “popolo”, del popolo rozzo e ignorante che si fa infinocchiare da Berlusconi o da Grillo.

Sono comunisti perché, a imitazione del glorioso Pci, se devono scegliere tra un democristiano conservatore e rassicurante come Letta e un azzardato e inusuale innovatore come Renzi, vanno immancabilmente, per dirla con Bersani, sull’usato sicuro.

Rimane da capire se questo Pd a trazione cripto-comunista sia frutto pure lui del ventennio berlusconiano, un suo sgradevole effetto collaterale come le bombe intelligenti che quasi sempre ammazzano anche un bel po’ di civili. Ipotesi affascinante: vorrebbe dire che uscito di scena il Cavaliere – prima o poi succederà – persino in Italia scopriremo l’emozione di avere una sinistra che fa la sinistra, cioè che prova a cambiare il mondo.

ILVA, la sinistra che ha rinnegato sè stessa

Articolo su Huffington Post

Per decenni la sinistra a Taranto ha preferito intrattenere rapporti opachi, spesso illegittimi, con i padroni dell’Ilva, lasciando che avvelenassero impunemente la città, piuttosto che difendere la salute dei tarantini: insomma ha rinnegato se stessa.

Questa in due parole è la lezione che si può trarre dall’ultimo episodio giudiziario della “telenovela” Ilva, con l”arresto del presidente della provincia di Taranto Giovanni Florido. Diranno i giudici su eventuali responsabilità personali di Florido, ma alcuni fatti già parlano da soli: quando come a Taranto esponenti politici di ogni parte e colore brigano di nascosto per consentire a imprenditori infedeli come i Riva di infischiarsene delle leggi, quando volutamente e sistematicamente cercano di stendere il silenzio sugli allarmi e le denunce che da oltre un quarto di secolo (i primi dossier di Legambiente sono degli anni Ottanta) dicono la verità su questa vera e propria ‘fabbrica dei veleni’, allora una politica così perde ogni titolo e ogni diritto ad essere creduta e seguita.

Per un tempo lunghissimo, mentre solo gli ambientalisti e qualche gruppo spontaneo di cittadini gridavano le ragioni del “popolo inquinato” di Taranto, diffondevano i dati terribili sull’impatto dell’Ilva, mettevano sotto accusa i Riva che non hanno speso né una lira né un euro per risanare l’impianto, ammonivano che mettere lavoro contro ambiente era una scelta senza senso e senza futuro, gli altri, quasi tutti gli altri, hanno lasciato che il problema marcisse: per prima l’azienda, poi la politica con rare eccezioni e infine lo stesso sindacato, terribilmente lento e pigro nel capire che senza una vera svolta il destino industriale dell’Ilva e quello occupazionale dei suoi lavoratori erano segnati.

Questa lunghissima stagione di irresponsabilità e di reticenza ha trasformato il caso dell’Ilva in un maledetto rompicapo. Chiudere adesso l’Ilva sarebbe una follia. Sarebbe, com’è ovvio, una follia sociale. Ma sarebbe un errore, un errore probabilmente irreparabile, anche sul piano ambientale. Ilva infatti non è solo una fabbrica che per troppo tempo ha avvelenato l’aria, l’acqua, la terra; è anche il cuore di un’immensa area da bonificare dopo decenni di intossicazione industriale, e molti casi analoghi dimostrano che se un territorio così rimane “orfano” di chi così l’ha ridotto, e perciò ha l’obbligo morale e giuridico di risanarlo, insieme al lavoro scompare anche la possibilità di una vera bonifica.

Per ricomporre il puzzle c’è probabilmente un unico modo: togliere ai Riva il controllo e la gestione dello stabilimento e al tempo stesso costringerli con tutti i mezzi legali a disposizione a pagare per il risanamento e la bonifica.

Ma la vicenda dell’Ilva si presta anche a una riflessione più generale. Quando mesi fa i giudici misero i sigilli alla fabbrica, qualche commentatore osservò che in una fase come l’attuale di acuta crisi economica la difesa del lavoro debba avere la meglio su tutto, salute compresa. Bene, questa è una colossale stupidaggine per due buoni motivi.

Il primo è che crisi o non crisi, la maggioranza dei cittadini, a Taranto come in qualunque altra città, non è più disposta ad accettare alcuno scambio tra sviluppo e salute. Il secondo motivo è che questo scambio è del tutto illusorio.

Per l’industria italiana, puntare sull’eccellenza ambientale non è soltanto un obbligo imposto dalle leggi; è l’unico mezzo per difendere le sue ragioni competitive e con esse il lavoro di milioni di persone. Questo vale per la siderurgia come per l’automobile, per la chimica come per tutto il manifatturiero. Finora, bisogna dirlo, né la classe politica né quella industriale né il sindacato l’hanno davvero capito: c’è da sperare che lo choc tarantino glielo insegni.

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