Economia

Il grande bluff del costo dell’energia

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Articolo su lavoce.info

 numeri smentiscono la diffusa convinzione che famiglie e aziende italiane siano oppresse dal caro-energia. Soltanto per il 3,8 per cento delle imprese il costo dell’energia elettrica supera il 3 per cento del fatturato. E il sostegno alle rinnovabili è uno dei pochi investimenti per il futuro.

UN MANTRA ITALIANO

Tra i temi più diffusi e ricorrenti nel dibattito pubblico italiano figura senz’altro il prezzo dell’energia: in Italia l’energia – questo l’assunto – costa moltissimo, comunque molto di più che nei paesi nostri vicini e concorrenti. Qui, si sostiene, risiede uno dei motivi che penalizzano di più la capacità competitiva delle nostre imprese e creano più difficoltà alle famiglie, qui l’effetto perverso del peso esorbitante sulle bollette degli oneri legati agliincentivi alle energie rinnovabili.
Più che di un giudizio argomentato, tali asserzioni hanno i caratteri di un mantra, di un assioma indiscusso che sui giornali e nelle dichiarazioni dei politici di ogni colore punteggia come un corredo inevitabile gran parte delle analisi sulle cause che impediscono all’economia italiana di imboccare la via della ripresa. Solo che confrontato con la verità dei numeri, il mantra si rivela per ciò che è: sostanzialmente un bluff.
Per cominciare, è importante distinguere tra energia elettrica (una parte spesso confusa con il tutto), spese per il gas, consumi per il riscaldamento e trasporti. E anche limitando lo sguardo all’elettricità vanno considerate separatamente le diverse categorie di utenti, perché il costo dell’energia elettrica non è uguale per tutti.
cosiddetti “energivori”, cioè le aziende che consumano molta energia, beneficiano di sconti rilevanti, per cui pagano l’energia elettrica quanto i loro omologhi tedeschi, se non meno. Il confronto con la Germania è il più significativo, essendo il sistema industriale tedesco molto simile al nostro per l’alta incidenza delle produzioni manifatturiere: nella fascia di consumo tra 70mila MWh/anno e 150mila MWh/anno il prezzo dell’elettricità in Italia è inferiore del 15 per cento a quanto si paga in Germania (0,1234 c/kWh contro 0,1449 c/kWh, secondo i dati Eurostat primo semestre 2013). Così, da anni sentiamo ripetere da media, politici (anche autorevoli), sindacalisti che la chiusura dell’Alcoa in Sardegna dipende dal prezzo troppo alto dell’energia, quando in realtà l’Alcoa sarda pagava l’energia meno dei suoi concorrenti tedeschi.

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Green Italia aderisce alla manifestazione “Sos clima”

globo

“Green Italia aderisce alla manifestazione “Sos clima” promossa dalle principali associazioni ambientaliste italiane, che si terrà Roma, il 28 febbraio 2014 in  Piazza Montecitorio. Se il Governo Renzi vuole davvero dare quella scossa in ambito economico e occupazionale non più rinviabile,  parte integrante di questa operazione deve essere un impegno forte a livello europeo dell’Italia affinchè ci sia una innovazione dell’economia europea con l’innalzamento dell’obiettivo di riduzione dei gas serra e target vincolanti più ambiziosi per l’efficienza energetica e per il contributo delle rinnovabili”.

Lo dichiarano gli esponenti di Green Italia Monica Frassoni e Roberto Della Seta.

“L’Italia, con il precedente esecutivo, ha già espresso il suo impegno (insieme a Germania, Francia, Danimarca e altri quattro stati) in favore della definizione di tre target vincolanti per il contenimento delle emissioni di gas serra e lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. Ora – continuano gli esponenti di Green Italia –  si apre per l’Italia la possibilità di giocare da protagonista in Europa, sia nella discussione nel Consiglio europeo del prossimo 20-21 marzo che durante il semestre di presidenza italiana che si apre a luglio, spingendo per obiettivi più ambiziosi, rispetto a quelli troppo prudenti e oggettivamente miopi e regressivi proposti dalla Commissione, come d’altronde ha già richiesto lo stesso Parlamento Europeo”.

“Il Governo italiano può essere infatti  fondamentale per raggiungere un accordo europeo più ambizioso e la strada di un Governo che vuole fare del cambiamento la sua cifra distintiva deve passare anche per un ‘Europa a trazione verde, e non giocare di retroguardia  con un clamoroso autogoal se sentisse le sirene della conservazione suonate dalle lobby fossili” – concludono Della Seta e Frassoni.

Cinquestelle impresentabili, ma il decreto Bankitalia è una mezza “porcata”

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Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post – 

Neppure in politica il fine giustifica i mezzi. Tanto meno li giustifica quando il fine è un pretesto e i mezzi sono il cuore di una scelta, di una strategia deliberate.

Per questo la bagarre scatenata alla Camera dai Cinquestelle – sebbene, come hanno ricordato diversi commentatori, non proprio un inedito nella storia del Parlamento repubblicano – deve indignare. Fanno schifo i deliri sessisti dal deputato De Rosa al blog di Grillo, fanno schifo gli slogan fascistoidi e l’armamentario da basso populismo messi in mostra da parecchi “portavoce” Cinquestelle, palesemente inadeguati – anche loro, come molti dei loro bersagli – al ruolo che gli è capitato di occupare nelle istituzioni.

Ma se i “grillini” hanno allestito una farsa impresentabile, questo non basta a riabilitare l’oggetto, sia pure strumentale, della loro sceneggiata: il decreto Imu-Bankitalia nella parte che riguarda la nuova governance della nostra banca centrale.

Per la forma utilizzata – la decretazione d’urgenza – e per molti suoi contenuti, questa presunta riforma è in effetti una gran “porcata”.

Come ha scritto il professor Angelo Baglioni su lavoce.info, è quanto mai discutibile che la scelta quasi epocale di trasformare la Banca d’Italia, oggi posseduta dalle banche, in una “public company” sia stata fatta per decreto, senza il minimo dibattito pubblico e cestinando una legge del 2005, mai attuata, che prevedeva il trasferimento allo Stato della proprietà dell’Istituto. Detto che in quasi tutte le banche centrali dei paesi europei il capitale è a larga maggioranza in mano pubblica, comunque non si vede dove sia in questo caso l’urgenza, criterio irrinunciabile per ogni decreto, dopo 80 anni dalla nascita di Bankitalia e dopo 8 di mancata applicazione della legge che ne prescriveva la pubblicizzazione. Da notare tra l’altro che persino la Bce ha avuto da ridire: è stata consultata solo all’ultimo, e nel suo parere sul decreto – richiesto 3 giorni prima che il testo venisse approvato dal Consiglio dei Ministri – ha richiamato esplicitamente il Governo italiano al rispetto della procedura di consultazione prevista dai Trattati europei.

Insomma. Nessun dubbio che il modello attuale di governance della Banca d’Italia – con i vigilati, cioè le banche, che sono anche i proprietari – vada superato. Ma la modalità scelta per attuare un così rilevante cambiamento, e la direzione che si è scelta – “public company” invece che pubblicizzazione – lasciano il campo a legittime obiezioni. Read More…

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